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22/05/11

the black wave



Recentemente ho appreso con rammarico che Current TV (canale 130 di Sky) probabilmente chiuderà i battenti entro breve per un poco chiaro impedimento di natura contrattuale tra il canale di Al Gore e la televisione di Murdoch.

Current (per chi non lo sapesse) è un network televisivo internazionale di informazione indipendente, fondato nel 2005 da Al Gore e dall’imprenditore e avvocato Joel Hyatt. Tutto si basa su una piattaforma cross-mediale attiva 24 ore su 24 che integra televisione e internet, fondandosi sul concetto degli User Generated Content (contenuti generati dagli utenti), creando così una coscienza collettiva attraverso lo scambio partecipativo d'informazioni da ogni angolo del pianeta. Current mostra al suo pubblico cosa succede nel mondo attraverso la voce dei protagonisti delle storie, proponendo contenuti alternativi a quelli dei tradizionali siti di informazione o canali televisivi.

Ecco, tutto ciò potrebbe non esistere più, soppiantato per la sua eccessiva voglia di scoprire e far conoscere le realtà del nostro mondo? Per un non ben specificato danno provocato a chissà quale multinazionale o per aver denunciato l'ennesimo scandalo (inter)nazionale?

Naturalmente di questi tempi si può anche teorizzare un poco improbabile intervento delle forze di governo italiane e non che vedrebbero nella programmazione e nella linea etica di Current quindi una scomoda voce (se non l'unica) in grado di influenzare il largo ceto su tutto quello che non funziona.

Probabilmente Current non sarà conosciuto da più del 20% degli italiani, troppo occupati a seguire la tettona di turno su altri stupidi programmi per cervelli liofilizzati. Curioso quindi vedere come i baluardi della verità e i dispensatori di cultura vengono trattati oggi. Tutto ciò bell'indifferenza quasi totale, come se la coscienza collettiva fosse ibernata da un caleindoscopio di perbenismo e bigottismo.

Vedere come arranca un garante della libera informazione come Current, mentre dispensatori di inutilità come per esempio Vice Magazine godono di una visibilità allarmante mi rende alquanto triste.

Vice Magazine (per chi non sapesse neanche questo, ma dubito) è un magazine e un media-group fondato a Montreal da Suroosh Alvi, Shane Smith e Gavin McInnes. Attualmente di sede a New York, fa capo a Andy Capper ed è avviabile in 27 paesi con oltre 900.000 lettori sparsi per il globo. Famoso per trattare argomenti riguardanti l'arte indipendente, la musica alternativa ed i fenomeni di cultura pop con uno spirito di allegra e caustica irriverenza. Vice si è anche battuto per la scuola "immersionista" del giornalismo, che considera come una sorta di antitesi fai da te ai metodi praticata dalle agenzie di stampa tradizionale. Ci sono state anche numeri della rivista interamente dedicata alle preoccupazioni di alla guerra irachena, ai nativi americani, al popolo russo, alle persone con disturbi mentali.

A mio parere, Vice parla di cose inutili e in modo paraculo, con un occhio particolare allo scandalo annunciato, al voler shockare orde di hipster che sfogano la loro alternatività ascoltando i dischi a loro proposti da certe rubriche della rivista. Solo ogni tanto ci si lava la coscienza con qualche articolo socialmente impegnato, dal piglio del gran reportage.

Ora io sono il primo a consultare Vice per farmi 2 risate, scoprire il "trend" del momento ed il resto. Ma mi spaventa pensare che paradossalmente una chiusura di Vice procurerebbe orde di indignazione ben più massice di quelle che ha provocato la medesima sciagura capitata a Current.

Questo perché le persone hanno bisogno di riempire le loro vite di inutilità congenita avviata da tutti questi dubbi veicolatori di mode e trend. Oggi le persone applicano in modo esasperato il marketing nelle loro vite, senza neanche immaginarlo (nel peggiore dei casi). Cercano continuamente strategie per la costruzione della propria identità, come fanno le aziende, come previsto da questa società post-industriale. Chiunque è capace di comprare la propria etica svenduta dal megastore di turno.

Tutte le persone oggi sono molto più propense all'immediatezza nel raggiungimento quotidiano. E' imperante l'idea che "togliersi le voglie, anziché coltivare un desiderio" sia la ricetta per la felicità, come dice Bauman.

Oggi infatti tutto deve essere alla portata di tutti, fioriscono negozi ovunque, più o meno accessibili per tutti. E si vende non un prodotto industriale ma un'identità, non un oggetto ma un sogno. Tutto questo per condizionare l'idea che ognuno ha di se stesso, per reclamizzare l'appiattimento della libera volontà. E tutto ciò non è populismo, ma un meccanismo dell'enorme macchina del consumismo smodato nel quale nuotiamo e affondiamo.

Queste sono le convulsioni di un mondo sull’orlo del precipizio, gli spasmi di una realtà che imploderà tra i suoi rifiuti e le sue angosce da prestazione.

In un'epoca dove non siamo più esseri umani ma solo consumatori della grande distribuzione, o elettori di partiti di massa, o contribuenti di sistemi totalizzanti, l'unica ricerca possibile della nostra individualità sta nell'autoproduzione, anche delle idee.

C'è da aspettarsi a breve un insurrezione totale, non ci sono scorciatoie.