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08/06/11

L'AMMINISTRAZIONE DELLA MORTE



Viviamo completamente una finzione dell'evoluzionismo: per il capitalismo, una fiducia nell'eternità dell'accumulazione e del progresso... per la scienza, una fede in una marcia infinita verso la verità... per la manipolazione sociale, una credenza nel controllo dalla culla alla bara. La legge profonda della prevalenza dell'ordine sociale è perciò non economica, bensì la progressiva manipolazione della vitae e della morte. Dal controllo delle nascite al controllo della morte, è lo stesso sistema di sterminio. Solo che adesso non c'è più alcun bisogno della morte.
L'operazione è effettuata in una sopravvivenza forzata, che solo i suicidi non commessi per disperazione possono rompere. La società nell'era postindustriale è quella della morte lenta, nella quale tutto il tempo è segnato, tutti i soggetti sono (in)volontari destinatari dei doni unilaterali dell'impiego, della sicurezza sociale, della gratificazione sociale e materiale e più di tutto dell'incessante bombardamento di istruzioni su come si deve apparire, pensare e agire. Una morte vivente.
Il potere resta, in ultima analisi, il potere di mettere a morte, di fatto, simbolicamente o minacciando. Nel caso moderno, questo potere opera simbolicamente tramite la neutralizzazione o medicalizzazione della vita e della morte. Le culture "primitive" considerano la morte come una relazione sociale, per cui le cerimonie di iniziazione o i riti sacrificali erano rispettivamente nascite o morti condivise e sociali. Nessun individuo nasceva o veniva messo a morte. Questo scambio simbolico colma la disgiunzione tra la vita e la morte (un concetto di naturalità che è solo parte del nostro idealismo moderno scientifico) e perciò anche tra reale e immaginario. Invece noi abbiamo reso autonoma la morte come una fatalità individuale e questo assolve la società della maggior parte delle responsabilità.

SPK, 1983